Rabbia, quella di Coletta, l’Assessore allo Sport del comune di Martina, anch’egli arbitro (ora osservatore), disposto ad assumersi le conseguenze sui contenuti duri riguardanti una lettera di protesta, da egli redatta, contro gli atti di violenza messi a punto nei confronti di un giovane arbitro del comune di Cavallino, in provincia di Lecce.
Andiamo con ordine: i fatti succedono in questo sperduto comune del leccese, Cavallino, appunto. Si tratta di un avvenimento che nulla ha di sportivo. Domenica scorsa, durante una partita in casa contro il Cutrofiano, la squadra locale viene penalizzata da un calcio di rigore assegnato dall’arbitro, un giovane di 17 anni. Il giovane arbitro viene aggredito fisicamente dal calciatore Lo Deserto e dal massaggiatore Monittola, facenti parte dell’ASD Cavallino, ora accusati di aver partecipato all’aggressione, e viene denunciato anche il presidente dell’Atletico Cavallino per istigazione alla violenza. Quel calcio di rigore non glielo doveva assegnare al Cutrofiano, secondo la mente di costoro. Si, perché il giovane arbitro è stato letteralmente massacrato sia in campo che negli spogliatoi da alcuni calciatori, dirigenti e tifosi. Rosario Fina, presidente del ASD Cavallino, non nuovo a fatti del genere (nel 2013 è stato squalificato per 13 mesi per aver colpito un arbitro con una testata “alla Zidane”) ha persino affermato “Se fosse capitato tra le mie mani (riferendosi al giovane arbitro, nda) lo avrei ammazzato”.
Coletta, amante del calcio, dell’agonismo, non ci ha visto più. Ha scritto alle autorità sportive possibili e anche al Presidente del Consiglio. Chissà come reagiranno ora dinanzi alle parole dure, dai toni velatamente accusatori, le stesse autorità sportive.
Riportiamo un tratto della sua lettera:
“Gentilissimi,
(…) Vi scrivo da Assessore allo Sport di un comune medio grande (Martina Franca), ma soprattutto da arbitro (ora osservatore), conscio che il mio parlare oggi potrebbe comportare anche ripercussioni disciplinari. Ma non mi importa. Il costante silenzio determinato dalla rigida e vetusta disciplina arbitrale e federale, è oramai superato. (…) Partiamo da un dato e parlo da arbitro. Prendersela con un ragazzino, picchiandolo e augurandogli la morte è sintomo di squilibrio mentale o di inferiorità intellettuale manifesta. Del resto, non credo di veder spesso allenatori e giocatori che picchiano un proprio compagno, reo di aver sbagliato un gol od un passaggio. Né tantomeno ho mai visto un assistente arbitrale lanciare bandierine all’arbitro, reo di non aver visto una sua segnalazione. La violenza che si consuma in un campo di gioco è pertanto la stessa violenza che può consumarsi al di fuori di esso, nelle case o nelle strade. Insomma non sono l’essere arbitro, ne l’errare fine a sé stesso gli elementi decisivi e scatenanti della violenza. Il problema di fondo è l’assuefazione alle regole, è la malattia, tipica delle società moderne, di reagire con cattiveria alle decisioni che non ci piacciono, alle scelte di chi dovrebbe controllare o giudicarci. Parto da questo presupposto per sottolineare quanto giustizia ordinaria e giustizia sportiva debbano essere più affiatate. Il calciatore squalificato per un anno rimarrà violento nella sua vita. Il presidente che per cinque anni non potrà più entrare in campo rimarrà colui che picchia il figlio, solo perché ha fatto di testa sua. Insomma se ne fregheranno della giustizia sportiva (soprattutto nelle categorie minori, dove non si gioca per vivere), tanto la loro vita non cambierà. Al massimo berranno una birra in più anziché andare all’allenamento o mangeranno quattro polpette in più la domenica a pranzo, anziché andare allo stadio.
Mi piacerebbe dunque che ad ogni atto violento seguisse ipso jure una denuncia penale, non solo della vittima ma anche della federazione di appartenenza. Oggi, ahimè, non solo non accade questo, ma addirittura un arbitro è obbligato, in base all’art.40 comma terzo lettera d del Regolamento Associativo AIA, “a non adire qualsiasi via legale nei confronti di altri tesserati FIGC e associati per fatti inerenti e comunque connessi con l’attività tecnica sportiva e la vita associativa, senza averne fatto preventiva richiesta scritta al Presidente dell’AIA e senza aver poi ottenuto dal Presidente FIGC la relativa autorizzazione scritta a procedervi nei confronti di altri tesserati e direttamente dal Presidente dell’AIA nei confronti di altri associati” (…).
Per farla breve, Coletta chiede misure drastiche contro la violenza in campo. E la messa in discussione di quell’assurdo art. 40 co 3° lettera d) del Regolamento Associativo dell’Associazione Italiana Arbitri. Cioè, un arbitro, se viene picchiato e volesse fare una denuncia penale dovrebbe prima chiedere al presidente dell’Associazione Arbitri, e fare denuncia dopo una preventiva richiesta al presidente della Federazione Italiana del Giuoco Calcio. Siamo ai limiti dell’assurdo. Questo è il calcio in Italia.