Ad un anno dalla tinteggiatura con i colori della Pace delle gradinate dell’anfiteatro in Villa Carmine a Martina Franca, i volontari del gruppo Emergency Valle d’Itria, sabato 2 agosto, hanno provato a ripulire dallo sporco e dalla polvere quella che ormai è stata rinominata informalmente l’Arena della Pace e diventata simbolo di pace e di rigenerazione umana e culturale in città.
Impegnata dal 1994 nella ricostruzione umana delle vittime di guerra, povertà e miseria, Emergency prova nel suo piccolo a sottolineare l’importanza di una parola che negli ultimi anni ha subito una vera è propria violenza. Diventata utile per il politichese la parola PACE, grazie al contributo di realtà come Emergency, prova a riprendersi il suo spazio e il suo valore.
Dare colore a delle gradinate di cemento non basta, bisognerebbe trasformare quell’arena in un simbolo che possa, in qualche modo, pareggiare i conti con i più diffusi simboli di terrore. Uno strumento da cui ripartire per ridare valore a ciò che oggi viene sempre più confuso con la “tregua”, come se la Pace fosse un valore a tempo determinato.
Di seguito una lettera dei volontari del gruppo Emergency Valle d’Itria che chiedono all’Amministrazione Comunale di intitolare quello spazio “Arena della Pace Vittorio Arrigoni”:
“Scriviamo mentre le nostre mani provano a ripulire dalla polvere la parola Pace, in Villa Carmine. Scriviamo mentre il mondo fabbrica macerie, mentre i governanti si astengono dalle responsabilità e addomesticano l’informazione in un mondo malato dove più di nove persone, civili, su dieci pagano con la vita le scelte di una ridicola sicurezza internazionale che nasconde , in realtà, solo ed unicamente interessi economici.
La guerra, che mutila e uccide, trasporta quelle ferite infettate di disperazione fino alle nostre coste e Martina Franca, nelle scorse settimane, ha potuto respirare un po’ di questo dolore.
Anche oggi (sabato 2 agosto), con la gioia dello stare insieme, non abbiamo potuto distrarci dalle informazioni che giungono da tutto il Mediterraneo. Ci siamo guardati le scarpe sporche, scarpe di volontari che come gli zoccoli nelle nostre sale operatorie, da venti anni, curano persone e denunciano la volgarità della guerra, senza essere riusciti ancora a buttarla fuori dalla storia.
In questi giorni è tornato prepotentemente il pensiero ad un compagno di viaggio scomparso, sarebbe meglio dire ucciso, qualche anno fa. Il suo nome era Vittorio Arrigoni, un ragazzo partito dal Nord Italia per girare il mondo e difendere gli ultimi.
Era un nostro coetaneo, partito dal Nord Italia per girare il mondo e difendere gli ultimi. Le sue corrispondenze, la sua pipa e la sua inconfondibile erre moscia mischiata ai rumori dei bombardamenti. Un ragazzo che aveva deciso di sfruttare il suo passaporto per interporsi fra le cannonate delle navi militari e i pescherecci, fra i fucili e gli aratri, fra le bombe e gli ospedali, fra i carri armati e le ambulanze.
Una vita con gli altri, un ingaggio di dignità il suo stare fra gli sguardi terrorizzati dei bambini.
Concludeva tutti i suoi messaggi con un adagio “restiamo umani”, quanto di più pericoloso si possa dire in una guerra assetata di morte e di vendetta. Restiamo umani è l’unico modo per non perdere l’occasione della Pace e infatti ci è voluta una menzogna per massacrarlo e mettere a tacere per sempre quella testimonianza di giustizia dall’inferno.
Abbiamo qui espresso un desiderio, intitolare quello spazio “Arena della Pace Vittorio Arrigoni”, non per seppellire sotto una lapide il suo nome, ma per portare i nostri bambini sotto la sua ombra di ragazzo, per raccontare ai nostri figli che qualcuno si è messo di traverso e che quello è un ottimo punto di vista per raccontare senza imbarazzi di aver fatto la nostra parte contro la logica della violenza, da Kabul a Mogadiscio, da Grozny a Bogotà, da Lampedusa a Martina Franca.
Ci ha lasciati con questo messaggio: ‘Confido in voi, che confidate in me, non per i morti ma per i feriti a morte di questa orrenda strage. Un abbraccio grande come il mediterraneo che separandoci, ci unisce.
Restiamo Umani
Vostro mai domo, Vik’.
Abbiamo il dovere di non dimenticarlo e di continuare a lavorare!
Per rendere tutto ciò possibile non possiamo che confidare in questa amministrazione che da sempre manifesta segnali di speranza e di attenzione ai temi della Pace.
Ne siamo certi, lui sorriderebbe felice e subito dopo ci inchioderebbe alle nostre responsabilità di cittadini del mondo.”