Un incontro di grande spessore umano e culturale quello avvenuto ieri sera a Palazzo Ducale, organizzato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Martina Franca nell’ambito del progetto “Se una sera d’inverno”. Ospite d’eccezione il sociologo milanese di fama internazionale Aldo Bonomi, presente per discutere circa i mutamenti socio-economici che la crisi economica mondiale ha causato.
“Siamo fieri di ospitare un personaggio di tale livello – ha aperto l’incontro l’assessore Tonino Scialpi, elencando le opere principali del sociologo – volenterosi di capire cosa sia cambiato durante la crisi, in particolare qui nel nostro Sud, in eterno conflitto tra diritti del lavoro e diritti sociali, nel caso dell’Ilva con implicazioni anche al diritto alla salute.”
Di fronte ad una folla nutrita di giovani e adulti interessati al dibattito, Aldo Bonomi ha voluto chiarire sin da subito l’aspetto fondamentale di questa crisi. “Non crediate che sia una fase di passaggio che riporterà il tutto allo stadio di prima. Si tratta di un attraversamento da cui usciremmo con un modello produttivo, di welfare e di convivenza sociale completamente mutato. Il paradigma a cui noi, generazioni degli anni post-bellici, animate da spiriti rivoluzionari ma sempre rivolte verso lo Stato come intermediario e risorsa di lavoro, non è più di attualità: basti pensare che le finanziarie, o leggi di stabilità, degli ultimi vent’anni, non negoziano più dove dirigere le risorse statali, bensì dove tagliare le spese”.
La crisi, secondo le teorie del sociologo milanese, nascerebbe innanzitutto dal fenomeno della globalizzazione, che ha condotto i vari territori a rapportarsi coi cosiddetti “flussi”. “E’ un flusso la finanza – spiega Bonomi – e lo si capisce vedendo come le banche locali di fatto non esistono più, ma si siano aggregate a macrolivelli; sono un flusso le transnazionali o multinazionali, che sorvolano continuamente il mondo alla ricerca del posto migliore su cui atterrare e produrre alle loro condizioni; è un flusso il turismo, che se non gestito adeguatamente dal territorio su cui incombe rischia di portarlo ad un andazzo non corretto (si vedano Firenze e Venezia, che malgestite turisticamente per anni sono finite come mete solo per turisti dal target alto); sono un flusso le Internet Company (Murdoch, Google ecc.), che muovono comunicazione e di conseguenza interessi; sono un flusso per eccellenza le migrazioni, che spostano popoli di diversa estrazione in territori che li devono inglobare e mettere a proprio agio”.
L’uomo che affronta la crisi deve dunque, secondo Bonomi, sviluppare non più una coscienza di classe (lavoro che faccio, condizione economica personale), bensì una coscienza di luogo, e qui si innesterebbe il ruolo della politica, che deve operare da collante sociale che tenga insieme le fasce più diverse durante il cambiamento. “Si tratta di quella che il collega Ernesto de Martino chiama ‘Apocalisse Culturale’ – spiega Bonomi – avviene quando la società non si riconosce più nelle cose cui era abituata e sprofonda nell’incertezza. Dobbiamo pensare che le generazioni del dopoguerra con mezzi scarsi (poche conoscenze, poca velocità di spostamento) ma con fini certissimi (realizzarsi, comprare casa, far studiare i figli) hanno realizzato il paradigma precedente; i nostri giovani invece si ritrovano a confrontarsi con lo stesso paradigma, pur avendo mezzi infiniti (internet, aerei, cultura) ma fini incerti.
Quali sarebbero allora le chiavi di uscita sociale dalla crisi. “Vi sono molte teorie – afferma il sociologo – chi pensa alla decrescita che faccia tornare il tutto allo stadio di decenni fa, chi se ne frega del debito pubblico, chi propone di farlo pagare alle classi abbienti, chi attua politiche di estremo rigore (è il caso del Governo Monti) senza pensare alla crescita. La vera chiave sta invece nel concetto di Green Economy, che nulla ha a che vedere con l’ambientalismo, bensì è un modello produttivo che tiene conto dei limiti di produzione e del contesto in cui si produce: produco quello che serve realmente alla società, rispettando i canoni del luogo in cui mi trovo.”
Aldo Bonomi sarà presente in questi giorni in un dibattito culturale sull’ILVA, pertanto anticipa alcune tematiche che sicuramente verranno trattate. “La crisi ILVA è simbolo della morte del “Fordismo”, del modo di produrre del Novecento senza i parametri della Green Economy: l’asse Taranto-Melfi-Pomigliano non regge più l’impatto di altre realtà economiche, di cui la Puglia è piena, che rispettano i valori dell’economia giusta e limitata (gli ulivi, la Taranta, ecc.) L’ILVA andrebbe accerchiata, ossia posta entro certi limiti di produzione che giovino sia alla produttività che all’ambiente. Se ci sono riusciti in Piemonte, dove gli ettari di vino delle Langhe superano di molto in valore commerciale le industrie di Torino, qualcosa vorrà pur dire.”