«Ora o mai più»: questo, in riassunto, è il messaggio che il sindaco Ancona lancia a tre categorie: ai proprietari dei terreni che sono aree a servizio, ai proprietari delle zone identificate come di nuova urbanizzazione, e ai costruttori. Fino ad ora la situazione urbanistica del comune di Martina è disastrata, e ciò è ampiamente riconosciuto da tutte le parti politiche. Dire “piano regolatore” significa come minimo iniziare una spiegazione che risale ad anni lontani, in cui la città era quasi un quarto di quella di oggi, quindi prima dell’espansione indiscriminata degli anni ’60 e ‘70.
Adesso lo scenario è cambiato, non c’è la corsa ai terreni edificabili presente fino a qualche anno fa. L’investimento sul mattone non è più un investimento sicuro, e i motivi sono ovvi: primo, la popolazione non è in aumento ma casomai in diminuzione; per cui se in passato c’era la crisi degli alloggi adesso c’è il contrario, la crisi del settore edilizio che tira su palazzi che rimangono vuoti. Sono vuoti non solo perché le banche non danno più mutui per l’acquisto di case, ma anche perché ad esempio raramente una giovane coppia ha abbastanza denaro per pensare di acquistare un immobile.
Nel frattempo, nella città di Martina ci sono circa 85 ettari di spizzichi e ritagli di verde pubblico e privato che sono parte delle cosiddette aree a servizio, o aree standard: terreni non edificabili a meno che non vi si costruisca sopra qualcosa di pubblica utilità. Purtroppo questi ritagli di verde tra cui, ad esempio, figura la villa comunale e il monumento ai caduti appartengono in parte anche a privati che hanno cercato e cercano tuttora di farsi ottenere delibere del commissario ad acta per “ritipizzare la zona”, cioè per rendere il suolo edificabile, facendone aumentare il valore. Questo è stato possibile per l’inazione comunale negli anni passati, che ha spesso sfiorato la connivenza in pratiche non propriamente corrette. Un esempio è la costruzione di interi quartieri staccati dalla città, così che poi il comune fosse costretto, per dare i servizi minimi, ad attraversare con acqua luce e gas altre aree che così ottenevano maggior valore.
Cosa si può fare adesso? Il comune non ha materialmente i fondi per procedere agli espropri in queste aree, quindi, attraverso la rigenerazione urbana, ha deciso di applicare gli strumenti della legge regionale 21/2008 e di trovare una soluzione che possa salvare gli interessi di tutte le parti. Ha identificato un’area, libera da vincoli paesaggistici, dai vincoli pai, e dalle disposizioni del decreto Galasso, divisa in tre zone, per circa 800mila metri quadri: una fascia a ridosso di via Guicciardini, e un’altra che va dal Pergolo alla stazione e da qui prosegue verso il nuovo quartiere che si estende attorno alla chiesa del Divino Amore. Questo terreno è da offrire come scambio: in pratica si dice ai proprietari di aree a servizio in città che cercano di costruire, che il comune offre, in cambio dei loro titoli edificatori e della cessione della loro area, titoli e possibilità di costruire nella nuova zona, o accordi in cui parte del costruito diviene di proprietà o interesse comunale, come parcheggi, strutture scolastiche per l’infanzia o housing sociale. In questo modo da una parte si dovrebbe avere una urbanistica più coerente con un progetto di città, dall’altra i costruttori e le aziende del settore edilizio potrebbero lavorare uscendo dalla crisi e infine i proprietari non rischierebbero di perdere le cause che li vedono coinvolti con il comune, ma di mettere in regola la loro posizione con la possibilità di ottenere uno scambio mutualmente benefico. Sistema di mutui scambi in cui il sindaco Ancona ha portato come esempio il fatto che chi ha i titoli per costruire per 1000 metri quadri – titoli per i quali dovrebbe comunque affrontare le spese legali poiché si tratta di aree a servizi – potrebbe ottenere il permesso di costruirne 1500 in un’altra area ma cedendone parte al comune oppure rifacendo il basolato di alcune zone del centro storico, in un’ottica di interscambio anche tra le varie parti della città.
Per arrivare a questo lieto fine, però, occorrono innanzitutto alcune cose: ad esempio capire come possono essere distribuite e redistribuite le premialità che il comune ha indicato, come l’aumento della cubatura per chi accetta di non costruire in un’area a sevizi ma di trasferire la nuova costruzione, oppure se ci sia già un accordo con qualche costruttore o qualche proprietario per accettare, anche a mo’ di esempio, questa nuova sistemazione. Certo è che, come ha detto a lato della conferenza l’assessore ai lavori pubblici Franco Convertini, la questione urbanistica è anche un problema di mentalità: a Firenze e in altre città italiane si pensa alla cubatura zero piuttosto che all’aumento dei volumi, alla demolizione e ricostruzione dei vecchi abitati per migliorare la classe energetica piuttosto che alla costruzione di nuovi palazzi senza migliorare i precedenti. «Se proprietari e costruttori si convincono che questa azione porterà vantaggi anche a loro, il risultato finale sarà buono per tutti» dice in sintesi l’amministrazione, offrendo ai proprietari la possibilità di far valere i loro titoli oggi anziché aspettare venti, trent’anni per sperare in un ipotetico futuro in cui l’immobiliare sarà di nuovo un mercato in crescita. Ma, appunto, devono convincersene prima di tutto proprietari e costruttori.
Daniele Milazzo