“La Puglia, assieme al Molise, è l’unica regione che ancora non ha adottato il sistema regionalizzato di assegnazione di fondi aggiuntivi agli enti locali pugliesi come da normativa”: lo ha definito in un comunicato stampa il consigliere Aldo Leggieri sulla questione del patto di stabilità. Il comune di Martina Franca  è in attesa di incamerare fondi liquidi attestanti su stime e dati da richiedere tra il 1,5 e 2 milioni di euro aggiuntivi.

Che cos’è la regionalizzazione del patto di stabilità? Rappresenta il principale strumento a disposizione delle regioni per limitare gli effetti negativi del patto di stabilità imposto dallo Stato per favorire lo sblocco dei pagamenti verso le imprese che hanno stipulato dei contratti con le amministrazioni comunali. A beneficio e garanzia poi, naturalmente, come un riverbero, dei cittadini, per una maggiore e più ampia erogazione di servizi pubblici.

Tale strumento permetterebbe agli enti locali di poter disporre di maggiori margini per l’effettuazione di spese, soprattutto in conto capitale, senza incorrere nella violazione del celeberrimo patto di stabilità statale (la disciplina in specie fa riferimento all’articolo 1, commi 138-140, della legge n. 220/2010 e riconfermata per l’esercizio 2013, ai sensi dell’articolo 1, comma 433, della legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013).

In tempi di secche, pertanto, la liberazione di soldi pubblici ulteriori (con l’attuazione del c.d. patto di stabilità regionale verticale incentivato) sarebbe una boccata di ossigeno per i martinesi. La sfida diventa quindi fondamentale e decisiva. Il nostro territorio deve farsi sentire nelle sedi competenti, per il bene comune. La questione è politica, e il dibattito diventa di grande respiro. I comuni non possono assumere le sembianze dello sceriffo di Nottingham dopo aver constatato negli anni la riduzione sbalorditiva dei trasferimenti dello Stato verso i municipi!

Capiamo la spending review, l’azione di taglio della spesa pubblica (anche se a livello centrale si sta rivelando minima), e le razionalizzazioni varie, ma adesso urge una politica virtuosa di cambiamento che vada oltre la mera osservanza del pareggio di bilancio per gli enti locali (come da legge cost. n.1 del 2012).

Una contraddizione poi, se ci riflettiamo, perché invece lo Stato centrale ha una predisposizione (fisiologica o patologica?) ad uscire dai parametri di Maastricht, che costringono i Paesi membri europei come una tenaglia ad avere una situazione di finanza pubblica nazionale in cui il rapporto tra il disavanzo pubblico annuale e il prodotto interno lordo (PIL) non deve superare il 3 % alla fine dell’ultimo esercizio finanziario concluso. E invece, il trattamento di gestione delle finanze pubbliche, a livello municipale, è molto più oneroso. Siamo sullo 0% spaccato. Praticamente, questo meccanismo oltre ad essere iniquo socialmente, è sciocco concettualmente. Che sviluppo e quale progresso civile vogliamo sennò? Il deserto? La terra bruciata?

Quest’anno il bilancio di previsione 2013, in consiglio comunale, lo approveremo entro il 30 novembre, cosa mai successa. E non è responsabilità dei comuni se poi sono costretti a mantenere le imposte invariate o a non ridurre, per esempio, l’aliquota massima sui redditi di lavoro delle persone (irpef), già rimasta invariata nel 2012 allo 0,80 che personalmente abbasserei, anche di poco, per dare un segnale riformista. Cioè per tutti.

Abbiamo già ottenuto delle risposte in sede di Imu (la vecchia Ici, ma molto più pesante, che rappresentava e rappresenta la principale fonte di finanziamento per mantenere in modo dignitoso i servizi pubblici verso i cittadini). Ma è proprio l’impianto ordinamentale che dovrà essere rivisto. Nelle linee generali. Anche se la crisi di governo attuale non favorisce un dibattito stimolante e costruttivo e quindi la ricerca di un clima sereno per lavorare politicamente e dare dei segnali di rinnovamento ai contribuenti delle nostre città.

 “Manca una visione strategica- aggiunge Leggieri – e non possiamo rimanere inerti culturalmente verso le elite politiche romane affollate da nani e ballerine, nel mentre di un conflitto istituzionale fra gli organi dello Stato centrale e gli enti periferici (oggi gli unici ad essere a contatto vero con i cittadini e a non smarrire la responsabilità etica e sociale di assumere degli impegni e immaginare di risollevare le condizioni economiche degli stessi)”.

Per avanzare una nuova rotta e un nuovo corso politico, c’è bisogno della ricostruzione dei partiti politici, non quelli personali o i comitati elettorali buoni per una sola stagione, ma di grandi associazioni sociali, vive, impegnate, in cui donne e uomini possano ritornare a partecipare, in modo libero, per determinare scenari di cambiamento anche verso i comuni, come “istituzioni di base”, per il riconoscimento vero e sostanziale della propria autonomia statutaria, giuridica e finanziaria.

“L’amministrazione comunale deve farsi sentire- conclude il consigliere. E la politica del Pd deve sviluppare delle azioni forti e coraggiose. Chiedo pertanto al sindaco Ancona e al consigliere regionale Pentassuglia di sollecitare l’attuale presidente di giunta regionale Vendola nel procedere alla concessione degli spazi finanziari, che il comune di Martina Franca sta aspettando, da mesi. Come tutti gli altri municipi. In un periodo di grave crisi economica, epocale oserei dire, e di difficoltà da parte di molte imprese e dei giovani in mancanza di lavoro o avvolti dalla spirale della incertezza cosmica, iniziative di tale genere, oltre già quelle buone messe sul tappeto, sia a livello comunale, sia a livello regionale, possono rappresentare dei momenti significativi a tutela del nostro popolo.”

Aurelia Simeone

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