La richiesta di Giuseppe Massafra, nel corso dell’incontro della Fictem Cgil con le vittime della crisi economica svolto all’Auditorium Cappelli
Il problema della crisi a Martina Franca si compone in questo modo: da lato un ricco sistema produttivo che si è sgretolato negli anni, quindi la scelta degli imprenditori di spostare la produzione in Cina o nei paesi dove il lavoro costa di meno; dall’altro centinaia di lavoratrici e lavoratori, la cui arte è ciò che caratterizza il Made in Italy, ormai senza lavoro, ma decisi a non rassegnarsi. Questo il fondo dal quale è partito l’incontro di venerdì sera, organizzato dalla Fictem Cgil e dedicato alle vittime della crisi economica, le donne. Di seguito la nota stampa dell’incontro, diffusa dal sindacato:
L’auditorium comunale di Martina Franca pieno di lavoratrici e lavoratori delle industrie confezioniste della città, che hanno perso il proprio posto di lavoro in seguito alla crisi delle loro aziende e sono oggi in mobilità. Una platea di donne e di uomini, di famiglie, che sono state il centro dell’iniziativa organizzata dalla Filctem Cgil di Taranto in occasione del diciassettesimo congresso della CGIL e del secondo della categoria che accorpa lavoratori delle industrie tessili, della chimica, del gas e dell’energia.
Martina Franca rappresenta un luogo particolare, perché ha avuto per decenni una solida tradizione legata alla confezione dei capispalla da uomo e da donna, le cui origini, i “cappottari” giravano tra mercati e fiere e con non poca fatica sono riusciti ad imporsi a livello nazionale e mondiale. Oggi, le scelte imprenditoriali, spesso purtroppo tese esclusivamente a garantire il profitto e non lo sviluppo dell’impresa, scegliendo la strada della delocalizzazione alla ricerca di minori costi; le mancanze istituzionali, caratterizzate daii vuoti legislativi che hanno consentito di etichettare comunque “made in Italy” i loro prodotti, anche se realizzati all’estero; ed infine la crisi del 2008, hanno portato Martina Franca da essere sede designata del distretto produttivo per il tessile, a una sorta di zona industriale fantasma in cui sopravvivono solo le poche aziende che a tempo debito hanno scelto di rimanere a produrre in Italia, puntando sulla qualità e sul prodotto. Come se non bastasse, inoltre, il lavoro nelle confezioni ha rappresentato nel tempo un lavoro a netta maggioranza femminile, e i dati sulla disoccupazione forniti dai centri per l’impiego provinciali lo dimostrano chiaramente. A dicembre 2013 gli iscritti, occupati, disoccupati, inoccupati, in totale erano 20845, di cui 10649 donne. Ma di questi, la maggior parte tra disoccupati e inoccupati sono proprio le donne (5573 su 9999).
Parte da questo ragionamento il segretario territoriale Giuseppe Massafra introducendo l’assemblea, dal fatto che Martina Franca è esempio che la crisi ha nomi e cognomi, ha il volto di donna. Essa non è una somma di numeri, ma sono storie su storie. E le storie si possono vedere dipinte sui volti di occupa le fila dell’auditorium Valerio Cappelli, nei cui sguardi si legge cosa significa attendere ancora i fondi della cassa integrazione in deroga del 2012, gli assegni di maternità, l’indennità di disoccupazone. “Se il lavoro dà dignità” sostiene Massafra “perché ci dà indipendenza e libertà, allora stiamo perdendo tutto questo. Da Martina Franca abbiamo una richiesta precisa da fare al governo Letta: l’Italia e Martina Franca hanno bisogno di politiche industriali e sociali che ci rendano più competitivi. Abbiamo bisogno del Made in Italy. Ma occorre anche reinvestire sul territorio. Si possono recuperare le necessarie risorse attraverso un ripensamento del sistema fiscale, affinchè sia più equo, ma anche da reali azioni di contrasto all’evasione”.
Alle parole di Massafra fanno seguito quelle di Luigi D’Isabella, segretario generale della Cgil di Taranto, che, illustrando il documento congressuale che contiene le proposte della CGIL, insiste sulla necessità di mettere il lavoro al centro del Paese. E in particolare il lavoro al sud e per il sud, che ha un deficit strutturale rispetto al nord, e per questo vive momenti difficilissimi. “E per questo” sostiene D’Isabella “che è necessario garantire equità, un sistema di ammortizzatori sociali articolati in un programma stabile che siano anche parte di un modello di protezione sociale che non permetta che ogni minuto di ogni giorno i lavoratori possano essere lasciati per strada, in balia della povertà”. D’Isabella poi insiste sulla necessità di un sistema funzionale di servizi territoriali per l’impiego che aiuti i giovani a trovare occupazione e a non rimanere fermi a casa, senza prospettive.
A fronte di migliaia di cassintegrati e disoccupati, c’è una generazione letteralmente bruciata, che non accederà mai al mondo del lavoro.
“E se da un lato i lavoratori sono la categoria più colpita, dall’altro il sindacato che li difende è ormai fortemente criticato, come qualcosa di vecchio e inutile” continua il segretario generale. “Eppure le condizioni dei lavoratori sono nettamente migliorate grazie ai sindacati. E in questo momento, invece, si tenta di parcellizzare il sindacato, frammentarlo. Noi della Cgil invece ci sforziamo di tenerlo unito perché solo insieme non saremo soli”.
Dopo l’intervento del Segretario D’Isabella il dibattito si accende. Come se non bastassero le condizioni economiche dettate da dinamiche sovralocali, quello che si verifica sul territorio è che i lavoratori vengono doppiamente colpiti. Da un lato c’è la convenienza di non produrre più in Italia, dall’altro c’è il ricorso al lavoro nero. I lavoratori dal pubblico intervengono puntando il dito proprio contro chi sceglie di andare a lavorare a nero anche se è in cassa e si pongono la domanda su come comportarsi. Giuseppe Massafra suggerisce che siano proprio loro a dire no, perché si possa inceppare il meccanismo per il quale l’imprenditore disonesto guadagna due volte e il lavoratore ne perde altrettante. Ma la lotta sembra impari, a volte. Non solo contro il ricorso al lavoro nero o al caporalato, per il quale la Cgil di Taranto si impegna a costringere la Prefettura a intervenire, anche nel sistema delle confezioni, e non solo nell’agricoltura e nell’edilizia, ma anche contro la burocrazia statale che tratta le persone come numeri.
Una lavoratrice dice: “Se non pago le tasse entro il giorno stabilito sono obbligata a pagare la mora. Ma se non mi pagano la cassa integrazione entro il giorno stabilito io non posso fare nulla”. Un dilemma che coglie tantissimi.
L’assemblea si conclude con la votazione dei documenti, l’elezione dei delegati alle istanze successivo del Congresso.