Taranto Laica risponde alla lettera di Don Franco Semeraro: “I talenti e le intelligenze della nostra città hanno bisogno di spazi liberi, non di pastori”
La proposta di Don Franco Semeraro di candidare Martina Franca a “capitale italiana della cultura” ha suscitato consensi ed ha aperto il dibattito. Una voce fuori dal coro (non per la proposta in sé, ma per la modalità con cui è stata fatta) è quella di Giuseppe Ancona di Taranto Laica, da sempre attento alle questioni civili e di libertà nel nostro territorio. Ancona risponde alla lettera aperta del Rettore della Basilica di San Martino al sindaco con un’altra missiva, che di seguito riportiamo:
Egregio Don Franco,
Leggo con interesse sulla stampa la Sua lettera aperta al Sindaco in cui lo invita a mettersi in cammino al suo fianco (o forse intendeva dire un passo indietro?) nel progetto per fare di Martina la prossima “capitale italiana della cultura”.
Fatta eccezione per il tono leggermente paterno e confidenziale che utilizza con il nostro primo cittadino (ma Lei è comunque un prete e quindi padre) ho apprezzato e condiviso tutto o quasi: sono completamente d’accordo con Lei ad esempio sul fatto che Martina merita di porsi alla ribalta nazionale per le sue eccellenze professionali, artistiche e per le bellezze architettoniche e ambientali.
Tuttavia ritengo che non sia Lei la figura più adatta nella città per lanciare un simile appello e porsi come capofila dell’iniziativa.
Non che Le manchino capacità organizzative e progettuali o le giuste conoscenze; tutt’altro visti i successi che ha dimostrato di saper raggiungere con le sue eclettiche iniziative.
Ma se intende fare qualcosa per la Città, offra semplicemente, alla pari degli altri, la propria disponibilità e non detti regole e modi a tutti i possibili protagonisti: associazioni, artisti, intellettuali, imprenditori, sindaco incluso.
La cultura è principalmente apertura verso idee diverse dalle proprie, comprensione dei differenti modi di concepire la vita, libertà di pensiero.
Per spiccare il volo e uscire dalla dimensione di paese di provincia, Martina deve aprirsi al nuovo cominciando dal passo più difficile: il riconoscimento dei diritti civili, come è stato con l’elezione del consigliere comunale per gli extracomunitari, o per l’annunciata creazione di un registro delle coppie di fatto o del registro dei testamenti biologici, iniziative sulle quali non mi pare di averla vista sostenitore sulle prime pagine dei giornali. C’è da lavorare per una città attenta ai diritti di tutti a cominciare da quelli delle donne, che per contraccezione d’emergenza e aborto ad esempio devono poter disporre di un ospedale cittadino che non sia occupato da medici obiettori di coscienza. Ma anche su questo non credo che Lei sarà d’accordo. La città ha bisogno di momenti di festa e di incontro realmente laici e aperti, come la ricorrenza in agosto della fondazione della città, senza obbligatoria genuflessione al parroco di turno.
La Città che Lei rappresenta invece, grazie anche ai suoi colleghi, è quella chiusa nei confini della propria ritualità pagana, che vorrebbe portare i bambini delle scuole alle processioni dietro una reliquia; la città delle statue di santi di pessima fattura che deturpano piazzette storiche, delle congreghe e confraternite religiose centro di potere e di consensi elettorali, della rivalità tra parroci su chi abbellisce di più la propria chiesa con musei, campane, mosaici d’oro.
Martina è tante cose, tanti talenti e intelligenze, ma le menti hanno bisogno di spazi liberi per dare il meglio, non di pastori che le conducano.
Martina non è Taranto laica ma l’ opposto! pieno sostegno a don franco che con la sua lettera penso che abbia il consenso dei 99% dei cittadini martinesi .
In democrazia ci sta che la chiesa ed i preti possano essere criticati, ma l’istituzione in se stessa é una organizzazione che agisce come una potente leva delle nostre migliori intenzioni ed energie, capace di costituire una forza aggregante degli uomini di buona volontà. Molte volte i preti, con una notevole dose di coraggio, sono l’unica presenza istituzionale in ambienti disgregati e degradati.