Da inguaribile innamorato della Bellezza del nostro centro storico avevo bisogno di verificare alcuni dettagli relativi a finestre cinquecentesche che ancora sopravvivono nell’antico centro abitato e ho iniziato il mio percorso partendo da Via Alfieri nella quale mi inoltro all’altezza di Via Mercadante. Mi accolgono numerosi fogli di brochure pubblicitarie, sparsi per terra, e un forte olezzo di urina proveniente da un vicoletto all’altezza del numero civico 52. L’incontinenza, per chi ne soffre, deve essere un brutta bestia, ma in alcuni casi gode di una buona stella! Poche settimane fa una consigliera comunale ha fatto sospendere una riunione consiliare per soddisfare il suo bisogno fisiologico. Molto più “generoso” fu l’ultimo governo Prodi che negli ultimi giorni del proprio mandato fece approvare un provvedimento con il quale venivano (e vengono!) forniti pannoloni, gratuitamente, ai parlamentari incontinenti!! Certo è che quell’angolo di Via Alfieri ha assunto le funzioni di bagno pubblico a cielo aperto! Ma quello che rende ancora più amara la visione di quel tratto di strada è la condizione di degrado che balza agli occhi in maniera raccapricciante: l’abbandono è denunciato da numerose scritte a spray sui muri e sulle porte dei locali al piano terra. Una edicola votiva ancora resiste sotto l’arco di quel vicolo: una Madonna dipinta (e piuttosto bene!) non meno di due secoli fa é costretta a convivere con le brutture e segni di indecenza rivoltante!Al primo piano del civico 52 c’é un balcone cinquecentesco, imbiancato a calce (!), con una epigrafe (copiata male!) “ SOLI DEO HONOR GLORIA 1578” ripassata con pennellate di colore a smalto nero. Si può immaginare qualcosa di più offensivo, rozzo, umiliante per il nostro patrimonio artistico? Un comportamento simile denuncia, più che l’ignoranza di chi conserva in questo modo un bene di assoluto valore, la mancanza di un Regolamento sulla manutenzione del patrimonio artistico. Una città che aspira a divenire capitale della Cultura non può permettersi un simile vuoto. Per avere alcune informazioni ho suonato ad una porta: nessuna risposta.Ho dato uno sguardo intorno a me e ho visto una signora affacciata ad una finestra situata in via Cellini. Quando stavo per domandare qualcosa la donna non mi ha fatto nemmeno pronunciare una parola che si è rapidamente rintanata in casa chiudendo le imposte. Bah…che brutta sensazione!!! Ho suonato ad altri tre campanelli: niente. Ho bussato ad altre porte, in anticorodal e vetro retinato, ma nessuno ha aperto. Su alcune porte facevano mostra di sé cartelli della serie “Vendesi” e “Affittasi”. Ad un certo punto mi sono ritrovato al centro dell’incrocio tra via Nuova – via Cellini e via Alfieri, ho guardato a 360 gradi intorno a me: nei quattro tratti di strada che confluivano verso di me: non ho visto un’anima viva! Nessuna persona a cui chiedere un’informazione! Nessun residente che mi aprisse la porta di casa. Una sensazione di smarrimento, trasformatasi in angoscia, quasi paura, si è impadronita di me.Istintivamente ho rivisto, nella mia mente, il volto in primo piano de “L’urlo” di Munch. In uno scenario in cui la solitudine diveniva un fatto palpabile, drammatico, assumevano un sapore amaro anche i versi di una poesia di Alda Merini scritti da una mano anonima sul muro di una parete prospiciente lo slargo.Andai via da quello spazio non senza un senso di liberazione. Ora ripenso a mente più serena a quella situazione e metto insieme alcuni flash: già qualche tempo fa don Franco Semeraro mi aveva confidato, con grande rammarico, che le sue visite ad alcuni residenti nel centro storico vanno diradandosi sempre più. E non perché egli abbia minore voglia di portare la comunione in casa dei fedeli impossibilitati a muoversi, ma perché le persone che vi abitano sono sempre di meno! E’ tristemente vero! Ma ripenso anche a tante lamentele, da parte di chi abita nel centro storico, nei confronti della delinquenza da cui queste persone devono difendersi. La professoressa Gabriella Gallo ha segnalato spesso, su Facebook, episodi e comportamenti incivili nei pressi della propria abitazione: sacchetti di rifiuti fuori posto, gente che orina per strada. In via G. B. Vico il cartello di un residente protesta contro il proprietario di un cane portato a fare i suoi bisogni in quella strada.Quello della sicurezza pare un problema superato, ma non mancano segnalazioni e denunce. Nel 2012 si verificò un omicidio ai danni di un’anziana. La cronaca segnala episodi e arresti connessi a spaccio di droga, furti, anche se, oggi, la situazione appare sotto controllo grazie all’impegno delle forze dell’ordine. Se proviamo a percorrere le vie all’interno dei vecchi ‘casali’ ci rendiamo conto che l’abbandono ha assunto dimensioni preoccupanti, drammatiche: i cartelli “Vendesi” e “Affittasi” non si contano. E, per di più, le abitazioni che un tempo ospitavano famiglie numerose non vengono neanche messe in vendita. Sono abbandonate. Qualcuno vede bambini giocare per strada? Gli esercizi commerciali si sono concentrati su due linee direttrici: 1. tra piazza Roma e piazza Garibaldi vi sono negozi e bar, trattorie, una macelleria, qualche negozio di abbigliamento destinati per lo più al consumo dei turisti; 2. lungo le vie dell’estramurale, tra via Mercadante, via Rossini, via Donizetti, Pergolesi e Bellini si affacciano le vetrine e gli ingressi di alcuni studi professionali, qualche bar, un laboratorio fotografico, rivendite di articoli casalinghi, qualche fruttivendolo, una macelleria, un laboratorio tipografico, due farmacie, un paio di rivendite di sali e tabacchi. Chi fa lo “struscio” lungo il Ringo è portato a pensare (come in una canzone di Giorgio Gaber) “Com’é bella la città, com’é grande la città, com’è viva la città, com’é allegra la città, piena di strade, di negozi, di vetrine...”. Ma se dal Ringo si esce e si prendono strade interne, laterali, lo scenario cambia: nelle zone di san Giovanni, Montedoro, san Pietro, la Lama é la desolazione più completa. Una città vuota!!! Un deserto. Non c’è vita! Chi ancora abita nel centro storico ha una sola grande preoccupazione: barricarsi in casa. Come è cambiata la storia di questa città, sguarnita nel giro di pochi decenni! Quando la mia famiglia si trasferì a Martina, nel 1954, andammo ad abitare al terzo piano del palazzo Ruggieri, detto anche “dell’Eccellenza”, di fianco alla chiesa di san Martino. La popolazione era ancora per gran parte racchiusa nel centro storico. Fuori di esso c’erano solo poche palazzine popolari, in viale Carella, nelle zone dei Paolotti e della chiesa di san Michele, lungo la cinta muraria. Le aree di ‘Fabbrica rossa’, della Sanità, intorno alla stazione, erano occupate da campagne, vigneti, orti, pinete. Questo “esodo” ha radici profonde che meritano analisi ben più ampie di quella proposta in queste poche righe, ma è storia il fatto che Martina, nel corso dei secoli, ha coltivato il ‘vezzo’ di abbattere monumenti antichi, chiese di gran pregio, ricche di statue, affreschi, quadri, altari, pur di rinnovarsi e costruire nuovi edifici, religiosi e no. Le chiese della Madonna del Carmine, di San Domenico e San Martino, che oggi possiamo ammirare, sorsero, nel giro di pochi decenni, abbattendo, in una sorta di irrefrenabile sventatezza autodistruttiva, i precedenti edifici religiosi. Questa smania di rinnovarsi, di essere in linea con le tendenze dell’epoca non risparmiò i proprietari di case dominicali che, sulla scorta di quanto stava accadendo alle chiese barocche, non esitarono molto a far abbattere gli ingressi delle proprie residenze (portali rinascimentali? In bugnato?) per dotarsi di portali barocchi. Nel suo volume dedicato a Martina Franca Cesare Brandi non mancò di sottolineare “questo impulso a cancellare le tracce contadine o paesane e a rinnovarsi in senso puramente cittadino”. Anche lo storico Cosimo De Giorgi, autore de “La provincia di Lecce – Bozzetti di viaggio” scrisse, parlando di Martina: “E qui noterò che Martina mostra di aver avuto molti e rapidi ingrandimenti; donde nasce che oggi non resta che poco o nulla del suo abitato primitivo. Se in altre città e paesi di Terra d’Otranto il nuovo si è aggiunto al vecchio, e di questo facilmente si scorgono le vestigia negli edifizi, nelle iscrizioni e nei monumenti, in Martina invece il nuovo ha interamente sostituito il vecchio”. Quando De Giorgi visitò Martina, nel 1880, era da poco iniziata una trasformazione epocale che doveva portare il centro storico, nell’arco di un secolo, a svuotarsi! In una città che nel 1881 contava oltre 19.000 abitanti in gran parte residenti negli spazi angusti, umidi e bui del centro storico, che solo dal 1873 si era dotata di un regolare servizio di nettezza urbana, fu il sindaco Alessandro Fighera che diede, legittimamente, avvio ad una politica di modernizzazione favorendo la nascita di una nuova zona di espansione, il ‘borgo’, tra la chiesa di Sant’Antonio e l’area in cui sarebbe sorto l’Ateneo Bruni. Le nuove residenze, più ampie e comode, costruite sulla scorta delle indicazioni contenute nel “Regolamento dell’ornato”, non erano accessibili, economicamente, alle famiglie più povere per cui la politica di Fighera, volta a liberare il centro storico da una altissima densità demografica, non conseguì i risultati sperati. Significative sono anche le parole pronunciate il 4 ottobre 1886, dal sindaco Scipione Barnaba, esponente conservatore del partito avverso a quello di Fighera: “E’ d’uopo ormai che Martina, deposto il saio, vesta panni leggiadri e acconci, onde possa tenere tra le città sorelle il posto che le compete”. Alla fine degli anni ’50 la maggior parte della popolazione era ancora arroccata all’interno della cinta muraria angioina. Furono gli anni del boom economico e la nascita dell’ Italsider a favorire un periodo di speculazione edilizia durante il quale la città allargò, a macchia d’olio, la propria periferia soprattutto sul versante orientale e meridionale: la costruzione di palazzi nelle zone di Sant’Eligio, Fabbrica Rossa, Paolotti, via Mottola, Sanità, determinò un esodo senza precedenti dal centro storico dal quale fuggirono, anche, farmacie, banche, esercizi commerciali più prestigiosi, studi professionali. Era come se le famiglie si allontanassero dalle vecchie residenze rinnegando, o cercando di cancellare, le proprie origini contadine. Quasi si vergognassero di abitare in vecchie costruzioni. Nel giro di pochi decenni, a partire dagli anni ’70, la situazione si è rapidamente modificata, sotto i nostri occhi più o meno consapevoli e /o distratti. Il centro storico, più conosciuto, amato e apprezzato più dagli stranieri che dai martinesi, fu sguarnito, impoverito, svuotato, privato di senso. Eppure questo problema fu avvertito da alcune persone più sensibili! Un grido di allarme fu lanciato, nell’ormai lontano 1975, nel corso di un convegno dedicato al centro storico, dalla rivista Nuovapulia, dal professore Armando Gnisci il quale, nel suo contributo “Ipotesi di lettura del centro antico di Martina Franca” a proposito della rimozione (furto!) della fontana di piazza Maria Immacolata così scriveva: “Mercato e fontana non ci sono più: non sono decaduti e scomparsi per vicenda storica, travolti dalla rovina del tempo, né sono stati restaurati, sostituiti; sono stati letteralmente aboliti da una precisa volontà politico – legale di un’amministrazione pubblica. Si è deciso, in ultima analisi, di togliere vita (mercato, fontana) ad un luogo ombelicale della nostra città per realizzare un vuoto disponibile all’uso più volgare e disumano: quello automobilistico. Anche così cambiano le città!” Poco oltre, approfondendo sempre più la sua lucida analisi, Gnisci concludeva con queste parole: “C’è come un generale e coatto sforzo maniacale di rinnegare, quotidianamente e sempre, le proprie origini di cultura e di classe: contadini dominati e sfruttati, emancipati forse, anche con un piccolo blasone di nobiltà borbonica o austriaca, ma contadini. Al centro antico non ci sono più mercati, fontane, botteghe, arti e mestieri: non c’è più vita né interessi (anche indotti come quello turistico folkloristico); c’è una linda miseria, un vuoto disponibile. Il centro di Martina è disponibile (bianco e pulito come un elettrodomestico) in quanto bel manufatto urbano a qualsiasi uso e decollo. E’ una specie di merce di buona qualità in attesa di un qualsiasi compratore per un qualsiasi uso. Così noi, o chi per noi, lo abbiamo voluto, forse senza nemmeno saperlo” Mancarono, agli amministratori dell’epoca, lungimiranza e amore per il proprio patrimonio artistico, coscienza storica della trasformazione in atto. Oggi ci ritroviamo con un centro antico vuoto, destinato al più completo abbandono, e una città ‘nuova’ cresciuta a dismisura, in maniera caotica, disordinata. Senza un piano regolatore. Senza un progetto, senza una visione comune e condivisa!A presidiare l’interno dell’antica cinta muraria angioina oggi sono i proprietari di case nobiliari e un numero sparuto di martinesi cui si sono aggiunti immigrati albanesi, rumeni e cinesi che hanno acquisito la cittadinanza italiana. Risiedere nel centro storico, oggi, è difficile, costa. Costa a causa dell’assenza di servizi, farmacie, esercizi commerciali, parcheggi. Secondo un censimento che ho fatto fare presso gli uffici del Comune nel centro storico risiedono soltanto 2.656 abitanti. Un numero irrisorio se confrontato con quello di 50 anni fa: oltre trentamila. La città prediletta dagli Angiò, cantata da Cito dè Citi, abbellita ripetutamente dai suoi abitanti, la città definita un ‘unicum‘ per la presenza dell’arte barocca, ammirata e amata da milioni di italiani e stranieri, la città che ha suscitato l’interesse e gli studi da parte di Isidoro Chirulli, Giuseppe Grassi, Cesare Brandi, Adriano Prandi, Giovanni Caramia e Michele Pizzigallo, Antonio Cofano, Nicola Marturano e Giovanni Liuzzi, Angelo Marinò, dei collaboratori del gruppo Umanesimo della Pietra, di Francesco Semeraro e Oronzo Brunetti, la città che è stata pubblicizzata da Bell’Italia, set di spot televisivi e di film, sta agonizzando…… Che fare? Quale uso sarà fatto di questo meraviglioso manufatto artistico che abbiamo ereditato? Qual è il futuro previsto per il nostro centro storico da parte di chi sta redigendo il Piano Urbanistico Generale? Quale città stiamo per consegnare ai nostri figli e nipoti?
Prof. Piero Marinò