Stasera presentazione del nuovo album del pianista pugliese: “E’ un viaggio nell’autenticità, lontano dalla massificazione. Lo stesso jazz prima era un simbolo di libertà, ma poi si è chiuso tra quattro mura”
“Autenticità”, ecco la parola chiave della fase artistica del musicista pugliese Kekko Fornarelli, che questa sera, alle ore 21.00, presso il Teatro Forma di Bari (via Fanelli 260/1) presenterà il suo nuovo lavoro, “Outrush” (Abeat Records/IRD). Si tratta del quarto album per il pianista barese Kekko (Francesco all’anagrafe), nato nel 1978 e sin dall’età di tre anni cresciuto sul pianoforte.
“Outrush” arriva dopo tre anni dall’ultimo lavoro – è una costante quella dei tre anni da un cd all’altro per il musicista (“Circular Thought” del 2005, “A French Man in New York” del 2008, “Room of Mirrors” del 2011) – ed è proprio la fase dell’autenticità, del ritorno a se stessi, dopo che l’album precedente gettava le basi della riflessione (“Del dove stavo andando e perché, del cosa volevo dalla musica”, confida Fornarelli). Stasera l’eclettico pianista barese sarà accompagnato da Giorgio Vendola al contrabbasso e da Dario Congedo alla batteria e percussioni, per presentare il nuovo album, con otto canzoni che spaziano dall’ “Aspettando Godot” di Beckett (“What kept you so late?”) alla rivisitazione del mito platonico dell’Amore (“Weeping souls”), con dei testi che raccontano le ragioni affettive di una coppia (“Reasons”) e il passaggio dalla tristezza alla gioia (“Like a driftwood”) e si chiude con il ritorno a se stessi dopo essersi resi conto che alcune parti del mondo e della realtà non funzionano come dovrebbero (“Outrush”).
“Questa volta – ci spiega Fornarelli – parto da un punto leggermente diverso rispetto al passato a va bene. Stasera c’è la prima che ho voluto fare a Bari: io sono un testardo, credo nella mia terra e voglio investire qui”. Una terra, intesa in senso nazionale, che non sembra attraversare un periodo fiorente dal punto di vista economico, ma che sforna sempre molti artisti: “Ci sono sempre meno investimenti e il tutto è lasciato nelle mani dei musicisti, che spesso devono fare da sé. Fuori sembra esserci più curiosità, ma a me Bari piace come città e ci vivo – o meglio, ci sono tornato a vivere – dopo tre anni di esperienza francese”.
Ciò non vuol dire che la fuga raccontata in “Outrush” sia quella dal nostro territorio: “Outrush – prosegue il musicista pugliese – non è inteso come una fuga dall’Italia. La fuga è dal linguaggio, sempre più massificato, anche nel jazz. Noi siamo vittime della globalizzazione, siamo tutti uguali e ci siamo dimenticati dell’importanza di essere se stessi. E’ una fuga verso se stessi, verso la propria autenticità”. Non a caso questa “fuga” viene condotta anche attraverso la letteratura e la filosofia, da Beckett a Platone: “E’ da ricondurre alla sensibilità di ciascuno di noi e a quello che vogliamo. La musica jazz ti dà la possibilità di essere libero, anche se il jazz negli ultimi anni si è sempre più uniformato. In Italia siamo rimasti legati ad un uso del jazz come quello in voga negli anni ’60 e c’è poca curiosità. Prima il jazz era un simbolo di libertà, ma poi si è chiuso tra quattro mura. Il richiamo alla letteratura è sempre una questione personale. Sono un divoratore di libri e con la musica cerco di parlare di me, cerco un modo per divertirmi ed emozionarmi”.
A proposito di emozioni, in “Like a driftwood” ne vengono passate in rassegna tantissime, grazie alla metafora dei tronchi: “Driftwood rappresenta gli alberi che nel Nord America sono trasportati attraverso i fiumi. C’è l’iniziale tristezza dell’albero che viene rescisso dal suo ambiente. Poi c’è l’ignoto, la paura, ma alla fine c’è la gioia, la liberazione di guardare la vita da una prospettiva differente, con un nuovo punto di vista”.
Emozioni che vengono musicate anche in “Reasons”, attraverso il dialogo d’amore tra contrabbasso e pianoforte: “E’ la storia di due amanti, che discutono del loro amore – racconta il pianista barese – e passano in rassegna il bene e il male del loro rapporto, un po’ come succede nella vita reale, quando si dice nella buona e nella cattiva sorte“.
“Room of Mirrors era il momento della riflessione, del dove stiamo andando e del perché, del cosa volevo dalla musica; mentre questo è il momento dell’autenticità”. Ecco il messaggio finale di Fornarelli: “Non tutto è guasto, se riesci a recuperare la tua autenticità”.
Domenico Fumarola