Piero avrebbe compiuto 22 anni il 7 luglio prossimo (guarda caso il giorno prima del mio).
Ha perso la vita in Nuova Zelanda a causa di un incidente stradale. Nato a Casalini, una piccola contrada di Cisternino, famosa per la sagra dell’uva e per alcune trattorie dove si mangia a buon prezzo, era in quella terra non molto lontana dall’Australia per lavorare e imparare la lingua. Aveva frequentato l’Istituto Caramia di Locorotondo. Cisternino, il giorno dopo aver saputo della sua morte, si è immediatamente mobilitata per raccogliere i fondi necessari per il ritorno della sua salma in Italia, viste le condizioni non molto agiate della famiglia, anche se la stessa ha prontamente comunicato che sarà l’assicurazione a pagare le spese per il rientro di Piero. I circa 8000 euro raccolti, fanno sapere, serviranno per il suo funerale. La scomparsa di questo ragazzo ci ha colpiti molto, soprattutto noi genitori che abbiamo i figli fuori a studiare o a lavorare. Ma quello che mi ha emozionato di più è stato guardare il suo sorriso, la sua faccia allegra, la sua empatia. Ho letto sul suo profilo la profonda tristezza di coloro che lo hanno conosciuto, dei suoi amici e di quelli che si era fatto in quella piccola cittadina. Leggendo quello che scriveva, mi sono soffermato sul modo ricorrente di chiamare ‘fratè’ i propri amici. Mi ha riportato in mente lo stesso ascoltato spesso da mio figlio, tanto da aver pensato, in un primo momento, che i suoi amici si chiamassero tutti Francesco e che quello fosse un diminutivo. Ho immaginato il dolore di quella famiglia che non poteva nemmeno piangere il figlio che si trovava dall’altra parte del mondo. Mi ha assalito la costante angoscia che si avverte ogni notte, per paura che possa squillare il telefono, cosa che ti fa restare sempre in dormiveglia. Le continue telefonate di ogni mamma al proprio figlio, per sapere dove si trova, se ha mangiato, se è ritornato a casa e tranquillizzarsi solo quando sa che è a letto. La morte di Piero ha avuto un effetto, quanto una coltello conficcato nel corpo, su ciascun genitore che vive in una condizione di continua preoccupazione. Emerge in molti di noi quella retorica inevitabile di chi vive al sud e deve accettare che il proprio figlio emigri e forse potrà vedere, si e no, un mese e mezzo in estate ed a Natale. Ragazzi che vanno via, con il coraggio di rinunciare al reddito di cittadinanza o in alternativa al servizio civile che uno Stato elargisce per scaricarsi la coscienza di non essere stato in grado di creare delle opportunità o delle strutture universitarie di livello, come quelle del nord.
Piero è un figlio di tanti di noi. Per la prima volta, da quando scrivo questo editoriale, ho voluto pubblicare la sua foto, mentre mi vengono in mente alcune frasi del prof. professor Keating (Robin Williams)
“Però io vi dico, ecco guardate me, vi prego, non preoccupatevi tanto, perché a nessuno di noi è dato soggiornare tanto su questa terra. La vita ci sfugge via e se per caso sarete depressi, alzate lo sguardo al cielo d’estate con le stelle sparpagliate nella notte vellutata, quando una stella cadente sfreccerà nell’oscurità della notte col suo bagliore esprimete un desiderio e pensate a me. Fate che la vostra vita sia spettacolare”.
La tua vita Piero, per quanto breve, l’hai resa spettacolare.