Donato Carrisi incontra i bambini (e non solo loro) della scuola Chiarelli e si racconta, stimolato da Anna Maria Montinaro. E’ a suo agio, e non risparmia aneddoti e particolari del suo passato, da quando “cominciò a perdere i capelli” mentre, “folle”, scriveva la sua prima commedia teatrale. Era l’anno della maturità, e con un gruppo di altri ragazzi come lui, “innamorati” del teatro, fondava la compagnia Vivarte e, “da incosciente”, dice, portava in scena al Teatro Verdi un lavoro scritto da lui. Evidentemente, era proprio la scrittura il talento, o comunque l’attività, che Donato Carrisi voleva diventasse ciò che “voleva fare da grande”. Ma il talento, ammesso che ci sia (e nel suo caso c’è, eccome), da solo non basta a far carriera. Serve perseveranza, ma anche fortuna, e tanta incoscienza.
“Oggi c’è troppa gente che crede di essere uno scrittore”, dice Carrisi, e aggiunge: “i lettori dovrebbero scrivere di meno e gli scrittori dovrebbero leggere più”. E poi racconta quella che fu la svolta della sua vita, e quindi della sua carriera. Era il 1999, vide per caso una fiction in tv. Era “un prete tra noi”, un giallo dove Massimo D’Apporto interpretava un sacerdote detective. Sullo schermo c’era, tra gli altri, un personaggio trasandato e malvestito, che lo colpì con curiosità. Gli venne in mente che poteva essere lui a scrivere una fiction, e buttò giù cinque pagine scrivendo un soggetto thriller. L’ispirazione per il genere la prese dal romanzo “il ragno”, best-seller con cuo Mc Connely avrebbe vinto il premio Bancarella. Inviò il soggetto a Mediatrade. Gli rispose De Rita, che gli consigliò di proporsi ad alcune produzioni. Fu così che incontrò, ironia della sorte, proprio quell’attore trasandato che aveva visto nella fiction: era Claudio Mancini, collaboratore di Achille Manzotti, che gli insegnò tutto sul cinema. E gli propose di scrivere “Casa famiglia”, fiction ambientata appunto in una struttura da cui prendeva il titolo. Donato prese spunto dalle esperienze che aveva appena vissuto facendo servizio civile al Villaggio del Fanciullo. Firmò il suo primo contratto Rai, e da lì è nato tutto. A distanza di anni, il soggetto presentato a Mediatrade è diventata il romanzo “Il suggeritore”, con il quale ha vinto il Premio Bancarella. Chiudendo, in un certo senso, il cerchio. E dandogli la possibilità, oggi, di poter scrivere sulla propria carta d’identità “professione: scrittore”.
Matteo Gentile