Di seguito un comunicato diffuso per conto di Martino Scialpi:

«Il Coni sa benissimo di non aver mai dimostrato la sua pretesa di non aver rinvenuto la matrice della schedina da me giocata e vinta. Sa altrettanto bene che, come diretta conseguenza, sono state costruite delle false accuse smontate in giudizio riaffermando le mie ragioni». Lo evidenzia Martino Scialpi replicando a recenti dichiarazioni del Coni, che parla pubblicamente e in maniera errata dell’inesistenza di sentenze a lui favorevoli per il pagamento della vincita al Totocalcio conseguita il 1 novembre 1981.

            È da allora che Scialpi è in causa. Il Coni non ha mai riconosciuto la vincita dicendo di non aver rinvenuto la matrice della schedina nel suo archivio di Bari: quindi, secondo il regolamento del Totocalcio, non liquida la giocata. Il tredicista rileva: «La verità è che in trentadue anni il Coni non ha mai esibito in alcun giudizio gli unici documenti che proverebbero le sue presunte ragioni: i verbali di controllo dei bollini utilizzati dalla ricevitoria n. 9147 a Ginosa, in provincia di Taranto, per le giocate, nonché di deposito delle matrici nell’archivio corazzato e dello spoglio. Quei verbali dovevano essere stilati dalla Commissione di Zona Totocalcio di Bari, prevista ai sensi degli articoli 7 e 10 del regolamento del Totocalcio, e avrebbero dovuto essere accessibili già in occasione del mio reclamo». Ne consegue: «Poiché la Commissione di Zona del Coni di Bari, la Commissione centrale del Coni di Roma e il Ministero delle Finanze non hanno mai esibito quei verbali in alcuno delle decine di giudizi in trentadue anni di contenzioso, è normale che nessuna persona ragionevole, nella mia situazione, sia disposta a credere a quello che il Coni afferma. È invece strabiliante che il Coni presenti ancora oggi, in un giudizio in corso, un documento sconfessato da una sentenza definitiva a me favorevole del lontano 1987».

            Scialpi si riferisce al rapporto del 24 maggio ‘83 del Nucleo centrale Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, I Gruppo, 3° Sezione servizi vari (allegato 1), le cui ipotesi sono state dimostrate infondate dalla sentenza del Tribunale di Taranto del 10 febbraio ‘87 (allegato 2). «Quel rapporto della Finanza, partendo da congetture errate e superficiali, determinò le condizioni per indagare a mio carico rispetto all’inaudita ipotesi, smentita dai fatti, di aver sottratto alla ricevitoria un bollino che avrei apposto sulla schedina, compilandola dopo che i risultati delle partite erano noti per farla risultare regolare e rivendicare un tredici inesistente» precisa Scialpi. Il Tribunale di Taranto lo assolse con formula piena perché il fatto non sussisté. La sentenza, mai appellata, passò in giudicato ed è tecnicamente irrevocabile. L’attività istruttoria stabilì che la schedina giocata era autentica ed esigibile, per cui fu restituita a Martino Scialpi che ne era il legittimo proprietario. Da allora egli la custodisce e cerca di farla valere come titolo per incassare il diritto riconosciuto alla vincita, contestato dal Coni e dal Ministero delle Finanze. Inoltre:

 

         la Corte di Cassazione, con sentenza del 28 giugno 1991, ribadì l’autenticità e quindi l’esigibilità di quella schedina.

 

         il 28 marzo ‘94, attraverso documenti prodotti in giudizio dal Coni di Bari, si stabilì che, all’insaputa di Scialpi, la ricevitoria  n. 9147 di Ginosa, in provincia di Taranto, dove egli giocò la schedina, era priva dei requisiti per poter gestire il Totocalcio, quindi di fatto abusiva. Tuttavia il Coni, consapevole di ciò, forniva regolarmente i bollini per le giocate del Totocalcio e riceveva dalla presunta titolare, Maria Luisa Taiana, le giocate effettuate;

 

 

 

 

 

         la sentenza dell’87 così definì la Taiana: «Costei, ove avesse svolto correttamente le sue mansioni e rispettato il regolamento, avrebbe evitato questa ingarbugliata vicenda. Al contrario fornisce una serie impressionante di versioni in sede privata (…) e di pubblica denunzia e testimonianza (…). Un dato certo è che la stessa non era idonea ad essere preposta ad una ricevitoria, per ragioni morali, amministrative e di esperienza».

 

Maria Luisa Taiana è una figura chiave nel caso Scialpi. Dopo che il tredicista il 5 novembre 1981 presentò il ricorso al Coni affinché riconoscesse la vincita, lei inviò al Coni di Bari una relazione “per bollini mancanti” e una “attestazione dei Carabinieri”, datate 7 novembre e arrivate al Coni di Bari il 9 successivo. In esse sosteneva di aver smarrito la matrice della schedina giocata da Scialpi. In seguito la relazione fu sbarrata con il timbro di arrivo Totocalcio 09.11.1981 e sostituita con un’altra, sempre del 7 novembre 1981, in cui la Taiana affermò la “sottrazione del predetto bollino a opera di terzi”. «Nel 1995 la Taiana dichiarò ai Carabinieri della Procura della Repubblica di Taranto che quest’ultima dichiarazione le era stata suggerita dai funzionari del Coni di Bari», spiega Scialpi. «Qual è la verità? Perché tanta confusione? Perché i fatti emersi nel corso degli anni fanno rilevare delle omissioni e delle irregolarità sia da parte della Taiana che del Coni? Mi sbaglio se ho la sensazione che si sia sviluppato, nel tempo, una sorta di complotto per impedire che mi sia liquidata la vincita?».

Le stranezze continuano con la recente, ineffabile riproposizione del menzionato rapporto della Guardia di Finanza in un giudizio civile presso il Tribunale di Roma da parte dell’avvocato storico del Coni, Luigi Condemi Morabito. Il giudizio riguarda l’adempimento del Coni al pagamento della vincita. «Quel rapporto, dopo che la sentenza dell’87 ne ha definitivamente smentito le ipotesi calunniose nei miei confronti, può essere considerato attuale non per quello che dice, ma per quello che non dice» fa notare Scialpi. «Esso infatti dimostra inequivocabilmente come la Finanza non abbia acquisito gli elementi probatori certi ed essenziali, cioè i verbali della Commissione di Zona del Coni di Bari. A sua volta il Ministero delle Finanze, che aveva chiesto alla Guardia di Finanza di fare chiarezza sulla mia giocata, e il Coni stesso, entrambi costituiti parte civile contro me nel giudizio dell’87, non sollecitarono l’acquisizione di quei verbali, essenziali affinché la verifica della Finanza fosse esauriente. Oggi il Ministero e il Coni affermano, con costituzioni in Corte di Appello, che la mia richiesta di produrre quei verbali mancanti è un fatto nuovo: ma come fa a esserlo se fin dal primo momento risultavano gli elementi probatori essenziali a fare chiarezza? Se loro li avessero esibiti nell’81 dopo il mio reclamo, o alla Finanza quando stilò il rapporto dell’83, o ancora al Tribunale di Taranto che fu invece costretto a condurre una perizia legale sulla mia schedina per appurare le false congetture delle quali il Ministero e il Coni erano in qualche maniera responsabili proprio per non aver consegnato quei verbali, e alle quali avevano dimostrato di credere costituendosi parte civile, ci saremmo risparmiati anni di contenziosi».

Martino Scialpi continua ad avere la sensazione di poter essere vittima di arcana imperii di poteri forti. «Il Coni che ripropone trent’anni dopo, come se nulla fosse accaduto, quel verbale della Finanza, mi fa pensare a due possibilità perché non ne riesco a immaginare altre: o l’avvocatura del Coni e dello Stato, quest’ultima per conto del Ministero, sono incorse in un errore clamoroso, oppure stanno tentando d’ingannare la magistratura, situazione alla quale mi rifiuto di credere fino a prova contraria. Ritengo però utile e interessante che i Ministeri, le autorità di controllo preposte e i giornalisti riscontrino quanto denaro pubblico il Coni ha consumato nel tempo in spese legali, attingendo ai bilanci dello Stato, per farmi una guerra giudiziaria. Invece che rendersi responsabile di stranezze, omissioni e accuse fasulle, non sarebbe stato meglio se avesse fatto chiarezza fin dal principio consegnando i verbali mancanti?». 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scialpi precisa ancora: «È evidente che ognuno potrà assumersi nelle sedi opportune le sue responsabilità. Mi sarei però aspettato, almeno nelle dichiarazioni pubbliche, maggiore sobrietà da parte del Coni. Invece si lascia andare, in maniera generica come ente e senza che alcun dirigente si assuma la personale responsabilità del contenuto dei comunicati stampa, ad affermazioni che si commentano da sole. Il Coni mi fa addirittura sorridere quando dichiara che “continuerà a tutelare il denaro pubblico che gestisce” da miei inesistenti “tentativi di aggressione”! Prendo atto che il neo presidente Giovanni Malagò si spende molto sulla stampa in dichiarazioni di rinnovamento e di trasparenza, ma sul caso Scialpi i modi, i toni e i metodi restano gli stessi. Se realmente Malagò volesse invece essere coerente con quello che proclama, il Coni dovrebbe, seppur tardivamente, ravvedersi sulla mia vincita e riconoscerla, invece che tentare di sottrarsi al pagamento con continui escamotage. Prima di tutto dovrebbe però rivolgermi delle pubbliche scuse per le ingiuste e infamanti accuse che mi sono state attribuite».

Scialpi conclude: «Fino a quando non avverrà, la mia battaglia andrà avanti perché è inaccettabile che il Coni continui a produrre chiacchiere invece che fatti. Ho invece dalla mia parte tre certezze giudiziarie: l’assoluzione dell’87 che ha certificato l’autenticità e la conseguente esigibilità della schedina, la sentenza della Cassazione del ‘91 che lo ha ribadito, l’ordinanza del Tribunale di Roma che un anno fa ingiungeva al Coni di liquidarmi una cifra parziale e la cui revoca è nulla per giurisprudenza consolidata. Questo conta in maniera definitivamente chiara. Per quanto invece riguarda i procedimenti pendenti, nonché gli esposti e le denunce inoltrati al Ministero della Giustizia, restiamo in attesa fiduciosa nell’operato della magistratura».

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