Una risata ci seppellirà. Con questa frase si potrebbe riassumere, in un certo senso, la rappresentazione teatrale “Il tempo di una lavatrice” scritto, diretto e interpretato da Angela Calefato, andata in scena al Teatro Verdi giovedì 21 novembre. Ovviamente la frase è una sorta di provocazione, un modo per indicare che l’autrice ha utilizzato la commedia brillante per raccontare al pubblico sentimenti e pensieri della vita quotidiana di una coppia di quarantenni. La risata, nella maggior parte dei casi, scaturisce da situazioni apparentemente drammatiche e dolorose. Angela Calefato, artista “di casa nostra”, ha creato sul palco con Antonio La Rosa una simbiosi perfetta dove la recitazione e la presenza scenica dei due bravi attori ha tenuto desta l’attenzione del pubblico per tutta la durata dello spettacolo. Apparentemente priva di intreccio narrativo, la rappresentazione è filata via “in punta di parole”, tra dialoghi stretti e serrati e movimenti scenici ben orchestrati. Angela ha nel suo bagaglio dodici anni di danza classica, e si vedono tutti nella pulizia dei movimenti che sottolineano il racconto. Si parte dal primo incontro, con le prime schermaglie tra due sconosciuti che si trasformano, sotto la pioggia, in un bacio che suggella il futuro della coppia: “fregata” lei, e “illuso” lui, come viene scritto sugli ombrelli che i due personaggi aprono in scena. Clara e Oscar, due normali quarantenni dei nostri tempi, alle prese con un matrimonio che dalle “romanticherie” dei primi tempi sembra trascinarsi stancamente tra bizzarri tentativi di riaccendere il desiderio sessuale e riappacificazioni repentine dopo l’ennesimo litigio per motivi, a volte, futili e anche un po’ pretestuosi. Sullo sfondo il rumore continuo di una lavatrice sempre in movimento, metafora dei “panni sporchi che si lavano in casa” nel tentativo di farli tornare “bianchi che più bianchi non si può”. In mezzo, le domande esistenziali di una donna laureata in archeologia che per poter lavorare fa l’infermiera, tutt’altro rispetto alle sue aspirazioni di ragazza. Ma che, nonostante tutto, mantiene intatta la propria dignità. Quella dignità che le porta a dire che sì, le donne vogliono essere salvate, ma in alcuni casi devono salvarsi da se stesse. Geniale la trovata finale, con l’equivoco che scaturisce dalla frase pronunciata da Oscar “è finita”. Non la loro storia, ma la polvere di detersivo. Perché, invece, tra un litigio e una riappacificazione, la storia continua. Il tutto, sempre con il sorriso sulle labbra.
Matteo Gentile